Le Tecniche nascoste

KAISA-INO-GENRI (KAKUSHI WAZA)

 

Nel 1991, in Giappone, Shihan Toshio Tamano, allievo del grande maestro Seikichi Toguchi (caposcuola Shorei-Kan), pubblicava il testo “Kaisai no Genri” ovvero la teoria del karate.

È il primo ed unico libro a parlare della teoria segreta del kata classico, un insieme di antiche norme codificate trasmesse dal maestro Chojun Miyagi al maestro Toguchi e quindi al maestro Tamano.

Il testo ha avuto un enorme successo in Giappone ed ha aperto una nuova era nella storia del karate”.

Oggi, se parliamo con i karateka solitamente vedremo che essi fanno sempre un secco distinguo tra kumite e kata senza considerare che sono le due facciate indissolubili del Karate.

Ciò è dovuto ad un modo errato di interpretare quest’arte sin da quando varcò i confini dell’Occidente.

Molti praticanti di allora, cresciuti nelle varie scuole del primo periodo, hanno fatto, nel tempo, percorsi diversi per arrivare a ricoprire ruoli vari nelle federazioni e nei club che nel frattempo si stavano costituendo.

Il processo evolutivo della disciplina ha quindi portato, attraverso il pensiero di chi si occupava della sua diffusione, ad una interpretazione molto variegata sul senso che certe componenti della stessa avevano.

Si sono quindi scissi elementi fondamentalmente parte espressiva di una sola entità in parti diversificate creando quel che oggi vediamo essere l’orientamento generalizzato e diffuso nelle scuole di karate: il karate sportivo e quello tradizionale.

Niente di più errato si poteva fare (ed è stato fatto!) perchè il karate è e resta uno solo ed il kumite piuttosto che il kata sono espressioni della sua univocità e della sua essenza e non parti distinte come molti ritengono corretto classificare.

Costoro evidentemente, per loro formazione scolastica o per erronea interpretazione non supportata da uno studio puntuale ed una ricerca attenta, ritengono di poter fare distinzioni personali su una materia che nasce molto indietro nel tempo, in una area geografica asiatica, in un contesto culturale assai diverso da quello occidentale e che è stata codificata per restare aderente ad un concetto di arte ben preciso.

Spesso si confonde l’evoluzione tecnica, peraltro corretta, con una struttura od architettura tecnica che dir si voglia, facente parte di un’arte marziale dalle lunghe tradizioni.

Parliamo di Kaisai no Genri, la teoria della ricerca del codice nascosto del combattimento insito nelle tecniche (hyomengi) di un kata.

Il primo presupposto è che il kata deriva dalle tecniche di combattimento (kaisaigi) e non il contrario.

Il combattimento tradizionalmente inteso (kumite) non è libero ma nasce da uno studio molto attento di gestualità assolutamente non istintive portate, con la pratica, a livelli di naturalità ed apparente libertà.

Per fare un esempio con discipline note ai più, un ballerino di balletto classico studia un tipo di danza assai specifica, che nel tempo lo porterà ad una interpretazione dei propri gesti tale da renderli indistinguibili da gesti liberi o come si suol dire.

Solo chi ha seguito un tale percorso potrà eseguire con tanta spontaneità gestualità complesse.

Il punto di partenza per un’analisi del significato del Kaisai no Genri parte dalle differenze effettive che ci sono tra un’arte marziale ed uno sport da combattimento.

Veniamo quindi al tema principale.

Partiamo dal kata ma nell’ottica appena descritta potremmo partire anche dal kumite, sarebbe indifferente.

Ci agganciamo al fatto che molti scrivono chiedendo lumi sul kata. La sua interpretazione, l’esecuzione, la storia ed il suo valore intrinseco come archivio storico della conoscenza del karate.

Molti si domandano se è una rappresentazione oppure un metodo oppure un sistema per fare karate.

La verità contiene tutte queste definizioni ma è diversa la collocazione del kata all’interno del karate.

Vediamo cosa si intende.

Se vogliamo usare una metafora il kata è una cassaforte che contiene la più alta espressione di uno stile del karate messo a punto nei secoli da maestri che hanno ritenuto opportuno utilizzare questo mezzo per conservare e trasmettere il loro stile senza rivelarne completamente l’essenza.

La vera essenza sarà patrimonio esclusivo della “scuola” generatrice, la loro, che potrà beneficiarne solo con i propri adepti in nome di una tradizione culturale che non andrà rivelata a chicchessia ma comunque mantenuta nel tempo attraverso la pratica e la diffusione del kata tra discepoli della stessa scuola.

Gli sport spesso provengono e nascono da movimenti naturali. Corsa, salto, lanci sono esempi immediati.

Un bambino spontaneamente può correre, lanciare oggetti e saltare.

Fa parte di una sua motricità di base che deve solo affinare se ne vuol fare un certo uso.

Chi ha inventato certi sport ha codificato regole partendo da quanto esiste spontaneamente nella nostra natura.

Il karate tradizionale porta, attraverso movimenti innaturali, invece, ad un condizionamento che permette di trasformare tecniche innaturali in tecniche spontanee.

Portiamo ad esempio la posizione del sanchin dachi.

Perchè farlo?

Per imparare la circolarità nei movimenti di tutto il tronco.

Visto da solo, fuori dal suo contesto, sarebbe una postura assolutamente inutile e che ci renderebbe assai vulnerabili se la dovessimo utilizzare.

Nel contesto del kata invece nasconde movimenti molto utili al combattimento che lo sottende.

Cercare quindi di semplificare i movimenti per renderli più “naturali” non è dunque lo scopo del karate e nemmeno del kata.

In molte scuole si tende spesso a semplificare e addirittura a cambiare, in nome della modernizzazione, il gesto tecnico in alcuni passaggi del kata.

Questo esprime una mancata conoscenza da parte di chi insegna del significato reale che il kata porta con sè.

Il kata attraverso i suoi movimenti, per quanto complessi essi siano, deve essere studiato per condizionare il corpo ad azioni innaturali.

Quando l’azione sarà stata metabolizzata il corpo la vivrà naturalmente.

Il successivo passaggio verso la scoperta delle tecniche nascoste insite in un kata permetterà al praticante di sentirsi preparato per affrontarle ed il duro lavoro del kata lo premierà nel momento in cui potrà proiettare quanto appreso nel proprio kumite.

Infatti il kumite non è combattimento fine a sé stesso ma l’espressione derivata dallo studio del kata che ne ha custodito i segreti.

Combattere senza arte è naturale.

Il kumite non è invece naturale se riferito al kata.

Questo è quanto sta scritto nel Kaisai No Genri.

Troppe volte si sentono frasi in cui si dice che il kumite è combattimento e come tale va modernizzato secondo le nuove conoscenze medico scientifiche.

Certamente le nostre conoscenze oggi ci aiutano a raggiungere stati prestazionali migliori, ma resta il fatto che non sono comunque in grado di portare alla luce tecniche tenute nascoste sotto forma di kata.

Allora cosa avviene?

Gli insegnanti iniziano ad allontanarsi dalla scuola tradizionale e aggiungiamo dal credo del vero Karate.

Si insegna un combattimento puro slegato dal contesto originario e, senza la conoscenza di quanto codificato, si fa percorrere una strada, quella dello sport da combattimento, ai propri allievi, vanificando secoli di storia.

Per giustificare questo cambio di struttura tecnica si inizia allora a parlare di karate sportivo, si sfruttano le grandi capacità atletiche che oggi si possono trovare in molti atleti senza più considerare quel “patrimonio nascosto” che vive nel kata e si va così a perdere la cosiddetta ricerca del tradizionale.

Ecco che avvengono le scissioni, le scuole si dividono ed i percorsi cambiano.

Ma il punto resta irrisolto.

Se parliamo di karate dobbiamo fare karate e non sport e questo è un dato imprescindibile.

Chi persevera nella ricerca farà karate, chi non vuole comprendere cosa sta dietro ad un kaisai continuerà a fare una pratica, diciamo, di tipo sportivo.

E su questo punto il maestro Miyagi era inamovibile.

Il kata ha richiesto secoli e varie fasi per diventare quel che conosciamo.

Si è passati dalla fase primordiale della imitazione osservando gli animali predatori combattere e riproponendo poi le stesse tecniche in combattimenti a due, si è passati poi per la fase dove si eseguivano esercizi a solo senza uno schema preordinato (stadio cosiddetto cinese e che ancor oggi i cinesi utilizzano nelle loro arti marziali).

Successivamente nacque l’esigenza di compattare le tante tecniche scoperte ed acquisite.

Nasce così il principio dell’embusen, fondamentale per la vita del kata.

La quarta fase infine viene chiamata fase del kata artistico di Okinawa.

Gli isolani avevano un temperamento più mite dei cinesi, da cui originano i kata, e diedero un volto diverso alle forme enfatizzandone espressività ed eleganza.

Veniamo dunque al nocciolo della questione.

Kaisai
I kata son formati da movimenti che nascondono tecniche di combattimento (hyomengi).

Il lavoro per scoprire le tecniche nascoste (Kakushi waza) si chiama kaisai.

Kaisai no Genri è la teoria della ricerca delle tecniche nascoste. Quando uno hyomengi (codice nascosto del combattimento insito nelle tecniche) rivela attraverso la ricerca la sua tecnica nascosta parliamo allora di kaisaigi.

Il Kaisai no Genri quindi è come una chiave per decodificare un messaggio crittografato; è il passaggio obbligato per tradurre i movimenti del kata in tecniche di combattimento.

 

Kaisa-ino-Genri
Tre sono i principi che lo governano.

  1. Non lasciarsi ingannare dal movimento del kata, regolamentato dall’Embusen.

Come dire il movimento del kata NON è il movimento reale del combattimento.

Ciò sancisce il fatto che le tecniche originali sono veramente nascoste nelle tecniche del kata

In altre parole se non si conoscono le regole del kaisai è impossibile recuperare le tecniche originali.

Questa affermazione non vieta l’uso per il combattimento delle hyomengi.

Semplicemente afferma che le hyomengi non sono le kaisaigi (tecniche nascoste).

L’embusen è formato da un diagramma principale (shu kiten) e da diagrammi secondari (fuku kiten).

Il punto di arrivo del kata, se e solo se è coincidente col punto di partenza è chiamato kiten shuketsu.

Non è una regola di tutti i kata tant’è che alcuni kata non finiscono nel punto di partenza e questo è un altro errore comune nelle scuole che insegnano la regola kiten shuketsu in tutti i kata.

Altra regola è quella dell’equilibrio dei passi.

Per esempio, se avanziamo o ci muoviamo verso destra, indietreggeremo o ci muoveremo verso sinistra durante il movimento successivo.

Infine la regola della limitazione del numero di ripetizioni dei passi.

Nel kata di Goju-Ryu Suparinpei vi è una ripetizione di quattro passi.

Questo è il massimo che si ritrova nei vari kata. Normalmente la limitazione si ferma a tre passi.

  1. Tecniche avanzando sono attacchi, tecniche indietreggiando sono difese.

Non è un concetto difficile da comprendere.

Bisogna calare il kata in questo corollario per poter poi interpretarne correttamente le tecniche.

  1. Un solo avversario ci attacca ed è sempre di fronte a noi.

Nel karate, anche se si deve combattere contro cinque avversari, si deve ricondurre il combattimento a cinque combattimenti uomo contro uomo.

È sempre uomo contro uomo e faccia a faccia.

Riassumendo i tre punti del Kaisai no Genri possiamo quindi dire:

1. L’embusen è la mappa del kata e ci indica in un diagramma a 8 linee (punti cardinali) le direzioni del kata.

Il kiten è il punto da cui nasce un kata ed in cui solitamente finisce un kata.

I movimenti sono sempre simmetrici e le linee uguali.

Tanti movimenti avanti o indietro, a destra o a sinistra.

Nulla di ciò avviene nel combattimento che è libero e spontaneo nei suoi spostamenti.

Quindi attenzione alla prima regola.

Mai applicare le regole dell’embusen ad un combattimento reale. Nel kata l’esecutore è SOLO.

I suoi avversari ipotetici lo circondano ed egli esegue lo hyomengi.

2. Lo hyomengi ci appare seguendo una sequenza ben precisa di tecniche.

Ad esempio avanzando in gedan barai e poi oi tsuki.

Il relativo kaisaigi ci rivela invece che il gedan barai in realtà è un gedan uchi (percossa) per cui quella sarà la vera tecnica da combattimento nascosta e pensata dagli antichi.

I kata nascono come forma di combattimento individuale.

Dunque non va pensato come una forma di combattimento multiplo contemporaneo ma sempre come forma individuale.

Quindi anche se nei bunkai si lavora in più persone l’idea è sempre quella di allenare un combattimento singolo dove il kaisai rivela le tecniche nascoste singolarmente.

Infatti nell’essenza del kumite anche a più avversari c’è l’assioma del combattimento singolo dove il combattente deve spostare sempre l’area del kumite sui singoli avversari senza incorrere in una possibile trappola uno a tanti.

Altro aspetto importante è la differenza tra Kaisai e Bunkai.

Molte scuole pensano che siano sinonimi.

Lo sono solo in termini linguistici ma sensei Miyagi, che elaborò entrambi, fece sempre una distinzione netta tra i due metodi.

 

Metodologia

Due sono le metodologie che ci permettono di ricavare da uno hyomengi un kaisaigi attraverso il kaisai no genri (teoria del kaisai).

Uno, deduttivo, battezzato da Chojun Miyagi come en-eki-ho e l’altro induttivo chiamato kino-ho.

Nel primo metodo si cerca di comprendere attraverso un serie di ragionamenti logici su uno hyomengi quale possa essere il proprio kaisaigi utilizzando le tre regole del kaisai no genri.

Nel secondo metodo si cerca, partendo da una situazione di combattimento, di trovare l’equazione che porta ad uno hyomengi del kata.

Un percorso al contrario.

La riprova che il kaisaigi trovato sia effettivamente quello ricercato la si ottiene lavorando in coppia facendo quel che si chiama kaisai kumite.

Quindi un procedimento che ci porta ad individuare tecniche che il kata contiene nel suo codice in forma nascosta e che una volta rivelate andranno praticate fino alla maestria per integrarle nel bagaglio conoscitivo del praticante.

Raggiunta la maestria per tali tecniche si sarà raggiunta quella che Miyagi indica come “kobo no jitsu“(la tecnica dell’attacco e difesa intese come continuum e quindi del combattimento).

Solo allora potremo affermare di aver pienamente compreso il kumite che sta dietro ad un kata in termini di tecnica nascosta.

Da tutto ciò pertanto è molto difficile accettare il fatto che un adepto senza studio dei kata del suo stile possa dire di conoscere l’essenza del kumite.

Il kumite deriva ed è genitore di una tecnica insita nei kata.

Solo il kaisai ci unirà queste due essenze completando un percorso di nome karate.

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